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News from Tangier

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Bisognerebbe chiederlo a loro, i “ragazzacci” del Kent, una delle rock band più pagate al mondo, i “Rolling Stones“, che frequentano Tangeri e il Marocco fin dagli anni ’60, bisognerebbe chiedere ai loro facoltosi membri se passavano più tempo al “Café Hafa” o al “Café Baba“, facciamo presto però, finché questi signori ultra-settantenni sono ancora in vita. Io so solo che ho visto una chitarra di Keith Richards appesa a una parete del “Café Baba”, assieme a molte foto (tra cui una del proprietario con Jim Jarmush) e altri cimeli, come ci sia finita non posso dirlo, ma certamente quello degli “Stones” resta un piccolo enigma che alimenta il fascino di questa misteriosa città.

Le leggende, alcune antiche, altre più recenti, s’intrecciano e si accavallano, ma cercheremo di ricostruire i fatti salienti di questa variegata storia partendo dagli anni ’50.

Un fatto importante accaduto in quella decade è di sicuro la fondazione del celeberrimo ristorante “1001 Nights” situato in un ala del Menebhi Palace, nel quartiere Marshan. Dal 1954 al 1956 il ristorante fu il centro della vita sociale degli espatriati durante i tempi d’oro della Zona Internazionale. Ciò avvenne ad opera dell’artista e mistico inglese Brion Gysin (1916 – 1986) insieme a Mohamed Hamri (1932 – 2000) cuoco e all’epoca amante di Gysin. Hamri successivamente divenne un apprezzato pittore naif e scrittore di “Tales of Joujouka” (I Racconti di Joujouka, 1975, inedito in Italia), leggende e miti Sufi del suo villaggio in Marocco.

Lo zio di Hamri era il leader dei Maestri Musicisti di Jajouka, una confraternita Sufi situati nella regione montuosa del Rif, e fu proprio Mohamed Hamri, diversi anni dopo, nel 1967, ad invitare Brian Jones,  uno dei fondatori insieme a Jagger e Richards dei “Rolling Stones”, a collaborare con la “confraternita” e  a visitare il suo Villaggio natale per registrare un album musicale con lui e gli altri. Non sembra tutto chiaro adesso?

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Boujeloud painted by Brion Gysin 1958

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“Voulez-vous, a rendez-vous, tomorrow…”, “Ramaja, cu-cu-cu, ramaja…” o “Beri, beri, beri fa lo scacciapensieri…” riecheggiano ancora per le strade di Tangeri, ma noi abbiamo deciso di spingerci ancora più addietro, agli anni ’50, in questa ricostruzione arbitraria e sommaria (mi si permetta il gioco di parole). Indubbiamente lo scrittore americano Paul Bowles, che già abbiamo visto fuggevolmente a proposito del suo libro “The Sheltering sky” (“Il Tè nel deserto”, 1949; versione cinematografica del regista italiano Bernardo Bertolucci, 1990) è stato il “catalizzatore” che ha fatto confluire a Tangeri personaggi come Brion Gysin, William  Burroughs,  Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Emilio de Soto, Francis Bacon, Tennessee Williams, Jean GenetTruman Capote, Gregory Corso.

Trasferitosi già dal 1947 a Tangeri (il suo primo viaggio risale al 1931), con la moglie Jane Auer, incontreremo spesso Paul Bowles nell’intricata “matassa” storica cui ci stiamo dedicando. Fu grazie a lui e Jane che Brion Gysin, conosciuto a Parigi nel 1938 durante la loro luna di miele, mise per la prima volta piede a Tangeri nel luglio 1950, restando per parecchi mesi come ospite dei Bowles nella loro piccola casa vicino Place Amrah nella Medina alta.

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Brion Gysin -written desert, inchiostro su carta1958

Brion Gysin _ Night in Marrakech, inchiostro su carta, 1968

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Immagini :

Laura Li (Atelier Arabesque) – dalla serie “Pop Maroc”, collage digitale, 2017.

Brion Gysin in Marocco, c. 1957.

Brion Gysin – “Boujeloud”, l’uomo-capra,  simbolo di fertilità, celebrato nella festività annuale al villaggio di Joujouka, in Marocco, acquerello su carta, 1958.

Keith Richard dei Rolling Stones per le strade di Tangeri, 1967.

Emilio Sanz de Soto, Pepe Carleton, Truman Capote, Jane e Paul Bowles, Tangeri, 1947.

Jane Bowles con la sua governante/amante Cherifa nella medina di Tangeri, 1967.

Brion Gysin – “Written Desert”, inchiostro su carta, 1958.

Brion Gysin  – “Night in Marrakech”, inchiostro su carta, 1968.

Brion Gysin – “After Midnight in Marrekesh”,  inchiostro su carta, 1968.

 

photo editor : Laura Li

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Atelier Arabesque : A Tangerine Dream

 

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Già di per sé istituire un “brand” artistico non è impresa facile (specie se non si dispone di grossi capitali a sostegno), figuriamoci farlo all’estero (Marocco) grazie all’opera (volontaria) di uno sparuto gruppo di artisti italiani: impossibile! Qualcuno pensa e dice, improbabile! Rispondo io; infatti la partita è tutt’altro che finita (l’esito è tuttora incerto) e si sta ancora giocando.

Cos’è un “brand”? È presto detto, si tratta semplicemente di una espressione inglese molto in voga oggi (come p. es. “limited edition” o “sostenibile”) per intendere il “vecchio” “nome” o “marchio di fabbrica”, riferito ad un’azienda o ad una linea di prodotti, però, come nel caso dell’Atelier Arabesque, può voler indicare anche una filosofia ed uno stile ben preciso (come la Nutella=crescita).

Il sottotitolo recita: “A tangerine dream… come true” (vorrei aggiungere io, cioè: “Un sogno tangerino… che si realizza”, n.d.t.), ma, come abbiamo visto, l’epilogo (almeno temporaneo) di questa storia non è così scontato. Mi viene in mente un gruppo musicale tedesco degli anni ’70 che si chiamava “Tangerine Dream”, oppure il locale notturno “Tanger Inn”, nella Tangeri (Marocco) odierna, adiacente all’Hotel Muniria dove, negli anni ’50, lo scrittore americano William Burroughs scrisse “Il Pasto Nudo”.

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Ma aiuta tutto ciò? Non credo, comunque è sempre meglio avere dei ricordi confusi che non averne affatto; solo il tempo ci potrà finalmente informare su come è andata a finire realmente, ma a quel punto non interesserà più, perché si starà giocando un’altra partita. Dopo questa digressione piuttosto gratuita possiamo riprendere il filo del discorso e soprattutto cercare, al di là di facili retoriche, di capire “se” e “come” assistiamo allo “snodarsi” di un nuovo “stile”. Il “se” dipende dal “come”, dunque per ora mi occuperò solo di questo, altrimenti rischiamo di mettere troppa carne al fuoco e di non venirne più a capo.

Prima di addentrarci nel labirintico mondo dell’Atelier Arabesque, vorrei soffermarmi ancora sulla definizione di “brand”(parola inglese, ma ormai di linguaggio comune). Naturalmente il “brand” o “marchio” può essere applicato ad ogni settore dell’industria, quindi, come in questo caso, all’abbigliamento e all’arredamento. Gli esempi presi in esame sono molto diversi da questi, ma fondamentalmente si tratta della stessa materia. Il “Marchio” presenta molteplici aspetti, c’è ad esempio il:

brand name (nome della marca); brand owner (impresa proprietaria del brand); conoscenza di marca (brand perception); notorietà (brand awareness); immagine di marca (brand image); brand equity (patrimonio di marca); brand value (valore della marca); brand essence (essenza di marca); brand activation è uno dei principali processi di marketing attraverso cui si fa vivere una marca, coinvolgendo a vari gradi i consumatori affinché cambino il modo in cui vedono le marche; modifichino il modo in cui si comportano; si influenzi il loro comportamento d’acquisto; brand management (gestione del brand); brand identity (identità di marca); brand franchise (fedeltà alla marca); brand experience (esperienza di marca); brand architecture (architettura di marca); brand portfolio (portafoglio di marca); brand positioning (posizionamento di marca); brand recognition (riconoscimento di marca).

Potrei continuare ancora, ma sostanzialmente la cosa importante da capire è che ogni piccolo passo avanti nel mercato è frutto di sacrifici enormi e di tempi molto lunghi; gli esempi saranno solo indicativi per avere un’idea di quali “ciclopiche” aziende siano coinvolte.

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Gli elementi che sino ad ora emergono sono: le “immagini vintage” (particolarmente ricercate sono le foto antiche, datate); i “patterns mediorientali” (di qualsiasi epoca); la “Pop-Art” (non esclusivamente quella americana, ma uno spirito Pop, inteso anche nel suo significato di “scoppio” {come il pop corn}, pervade tutte le creazioni); gusto individuale” (difficile da definire, può spaziare nel tempo e sbizzarrirsi a seconda del singolo artista); le “proporzioni libere” (senza condizionamenti prospettici e/o proporzionali tra i vari soggetti della composizione).

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Immagini :

Dario Iosimi (Atelier Arabesque) – “Lawrence in Tangier”, 2013, scultura in resina trasparente e tecnica mista, collezione privata.

William Burroughs con il suo amico Kiki al Café Central al Petit Soco, Tangeri 1957.

Tangeri negli anni ’50.

Laura Li (Atelier Arabesque) – dalla serie “Pop Maroc”, collage digitale 2013. 

Laura Li (Atelier Arabesque) – “Time Machine (Tangier)”, collage digitale 2013. 

 

photo editing : Laura Li

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L’Orientalismo : sesta parte

Francesco Coleman - Un Arabo e il suo cavallo guardano il mare acquerello c. 1883 The Knol Collection

Visto che i pittori italiani Orientalisti (dell’Ottocento) sono tanti, non posso fare a meno di stilarne una sorta di lista, anche se tale operazione non mi piace e potrà risultare antipatica a molti:

Dovendo pur cominciare da una parte, perché non farlo da coloro nati nella città eterna? Nazzareno Cipriani (Roma, 1843 – 1923) è uno di questi. Benché siano spesso ricordate le sue opere dedicate a Venezia, egli fu un vero artista romano, proponedo addirittura delle lezioni di pittura nel suo studio privato di via Margutta 48.

Non si può redarre una lista che si rispetti tralasciando Giuseppe Signorini (Roma, 1857 – 1932), cui si devono diverse opere sul Marocco.

Un altro romano “verace”, nonostante il nome, è indubbiamente Francesco Coleman (Roma, 23 luglio 1851 – 9 gennaio 1918), che, spesso a Parigi, tuttavia conservava uno studio d’arte in via Margutta 33. Ho di lui un rapporto di vendita che puntualmente riporto qui di seguito:

Quotazione:

Asta “Christie’s” tenutasi a New York nell’aprile 2008.

Autore: Francesco Coleman (italiano 1851 – 1912); titolo: The Rug Seller; tecnica: matita e acquerello su carta; dimensioni: cm. 37,5 x 54; anno: non specificato; prezzo di vendita: 8.500 EUR (8.750 USD); note: non incorniciato ed in buono stato; firma e luogo in basso a sinistra; lotto: 167; esposizione: Christie’s di New York, dal 2 al 3 aprile 2008; provenienza: Galleria Fogliato, Torino.

 

Otto Pilny Orientalist Oil on Canvas The Slave Market, 1910

Questo tema è così esteso che si rischia ogni momento di cambiare solo per il gusto di farlo o di vagare all’infinito, apparentemente senza una precisa meta. Giustappunto, prima di continuare la lunga “sfilza” di pittori (in prevalenza ottocenteschi) italiani che si annoverano tra gli Orientalisti, vorrei inaugurare un nuovo argomento: quello dei quadri cosiddetti “slave market”, cioè quelle opere che hanno come soggetto (assai problematico di questi tempi) la compravendita di giovani donne (sempre raffigurate nude, o semi-svestite), come se fossero equiparate agli altri oggetti venduti nel mercato arabo. Non è una deviazione gratuita, anzi, pure autorevoli artisti come Gérôme, Boulanger o Rosati, si sono cimentati con questa spinosa tematica. Ovviamente tali soggetti venivano portati avanti dai vari artisti anche per assecondare le esigenze del pubblico, soprattutto francese e spagnolo, che pagava volentieri cifre a volte esagerate per possedere uno di quei dipinti. Erano, per così dire, “immagini proibite”, e in quanto tali, ambite, contese ed anche un po’ occultate. Questo alone di mistero riguardo all’Oriente e comunque a tutto ciò che è Esotico, permane anche oggi, per questo mi permetto di sottolinearlo. Nei prodotti dell’Atelier Arabesque si riscontra tutto ciò, ma c’è di più, naturalmente, però lo svelerò pian piano, strada facendo.

Adrien-Henri Tanoux - Namouna, 1887

William Allan Il Mercato delle Schiave a Costantinopoli, 1838 National Gallery of Scotland

Parte finita il 24 ottobre 2017. continua…

Immagini :

Francesco Coleman – “Un Arabo con il suo cavallo guardano il mare”, c. 1883, acquarello su carta, collezione privata.

Otto Pilny –  “The Slave Market”, 1910, olio su tela, collezione privata.

Adrien-Henri Tanoux – “Namouna”, olio su tela, 1887, collezione privata.

William Allan –  “Il Mercato delle Schiave a Costantinopoli”, 1838, olio su tela, National Gallery of Scotland, Regno Unito.

 

photo editor : Laura Li

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L’Orientalismo : quinta parte

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Archiviato finalmente il doveroso intervento sul libro “Orientalism” (edizioni Pantheon, U.S.A. 1978) di Edward Said, possiamo tranquillamente proseguire con degli artisti italiani ottocenteschi (sono tanti) che si sono lasciati “catturare” da suggestioni esotiche.
Cominciamo con Cesare Biseo (Roma, 18 aprile 1843 – Roma, 26 gennaio 1909). Nel 1879 si recò in Marocco, assieme all’amico Ussi, come membro di una missione diplomatica italiana; vi tornò anche in seguito con Edmondo De Amicis, dal quale ebbe l’incarico d’illustrare i suoi scritti.
Di lui possiedo pure una quotazione, che riporto qui di seguito (si tratta di un’opera molto piccola, spero sia utile):
Asta “Dorotheum” tenutasi a Vienna nell’aprile 2016.
Autore: Cesare Biseo; titolo: Danzatore orientale; tecnica: olio su tavola; dimensioni: cm. 25 x 35; anno: 1876; prezzo di vendita: 6.875 EUR (8100 USD); note: incorniciato ed in buono stato; firma, data e dedica in basso a sinistra; lotto: 1251; esposizione: Palais Dorotheum Vien, dal 09 al 21 aprile 2016; esperto: Gautier Gendebien.
Certamente uno dei maggiori frequentatori dei Paesi arabi fu Stefano Ussi (Firenze, 2 settembre 1822 – Firenze, 11 luglio 1901). Nel 1869 era in Egitto (allora inglese), per l’apertura del Canale di Suez, poi andò sovente in Marocco (per “loro” era uno scherzo arrivare a Tangeri), una delle quali nel 1875 (lo abbiamo già visto) con il collega Biseo, in seguito collaborerà anch’egli alle illustrazioni del libro “Marocco” (1879) di E. De Amicis. Per avere un quadro completo della grande passione che Ussi ebbe per l’Oriente (diciamo così per convenzione, in realtà si dovrebbe parlare di “medioriente”), si potrebbero aggiungere alle sue mete favorite anche l’Algeria e la Turchia, non lo faremo solo per esigenza di spazio!

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Cesare Biseo The Favorites from the Harem in the Park

“Snocciolare” nomi a “raffica” non è nel mio stile, ma gli artisti italiani Orientalisti (dell’Ottocento) sono davvero in gran numero e se non faccio così rischio di scordarmene parecchi.

Cominciamo col più considerato da tutti, Mariano Fortuny, nato spagnolo d.o.c. (Marià Fortuny y Madrazo, Granada, 11 maggio 1871 – Venezia 3 maggio 1949), visse lunghi periodi a Roma (pittore e stilista naturalizzato italiano), dove è pure sepolto (al Cimitero Monumentale del Verano), malgrado sia spirato a Venezia, nel suo palazzo (allora Pesaro Orfei), che una diecina d’anni dopo la sua morte, la vedova, Henriette Negrin, donò alla città veneta e che oggi ospita il Museo Fortuny.

Quotazione (tratto da internet):

Mariano Fortuny. Interior con figuras, 1871. Salida y remate: 70.000 euros, EN BALCLIS.

Tutt’altro che trascurabile la presenza dei pittori Orientalisti Alberto Pasini (Busseto, 3 settembre 1826 – Cavoretto 15 dicembre 1899), che lavorava per il celebre mercante Goupil, e Roberto Guastalla (Parma, 15 agosto 1855 – Viarolo, 3 settembre 1912), pittore e viaggiatore sì, ma anche (cosa piuttosto rara a quei tempi) fotografo!

Quotazione:

Asta “Dorotheum” tenutasi a Vienna nel giugno 2014.

Autore: Alberto Pasini; titolo: Studio vicino Fontainebleau; tecnica: olio su tavola; dimensioni: cm. 25,5 x 35,5; anno: non specificato; prezzo di vendita: 3.250 EUR (3850 USD); note: incorniciato ed in buono stato; firma, data in basso a destra; lotto: 25; esposizione: Palais Dorotheum di Vienna dall’ 11 al 19 giugnoa 2014; provenienza: Galleria Fogliato, Torino; esperto: Gautier Gendebien.

Mariano Fortuny - El vendedor de tapices - 1870

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Parte finita il 22 ottobre 2017. continua…

Immagini :

Stefano Ussi – “Beduini a cammello”, XIX secolo, olio su tela, collezione privata.

Cesare Biseo – “Giovane Marocchina”, 1881, olio su tela, collezione privata.

Cesare Biseo – “Le Favorite dell’Harem a passeggio nel Parco”, XIX secolo, olio su tela, collezione privata.

Mariano Fortuny – “Il Venditore di Tappeti”, 1870, olio su tela, collezione privata.

Mariano Fortuny – “Fantasia Araba”, 1867, olio su tela, collezione privata.

Roberto Guastalla – “Un angolo dello Studio”, c. 1886, collezione privata.

Alberto Pasini – “Via Al-Khudayri al Cairo”, 1861, collezione privata.

 

photo editor : Laura Li

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L’Orientalismo : parte terza

François-Léon Benouville Esther (ou Odalisque), 1844 ”

Togliendo quelle opere che non sono (ancora) conservate nei musei, ogniqualvolta avrò notizia di una vendita, lo comunicherò, sia essa effettuata in asta o tra privati, così fornirò un’informazione utile per capire con maggior precisione il valore odierno che viene dato nel mondo ai fantomatici Orientalisti. Visto che in alcuni casi si tratta di parecchie centinaia di migliaia di dollari, credo che questa curiosità (non solo mia) sia sincera e legittima. Continuo volentieri con un “pilastro” dell’Orientalismo e non solo, lo avevo già trattato in un intervento precedente, ma nel suo caso varrà la pena di indugiare un poco, ovviamente sto parlando di Jean-Léon Gérôme (Vesoul, 11 maggio 1824 – Parigi, 28 gennaio 1904), il celeberrimo pittore (anche scultore) francese. Nel 1854, attratto dal mondo arabo, cominciò a viaggiare in Medioriente, specie in Turchia ed Egitto, cosa che si rifletté non poco nella sua pittura, che rimase, come quella di tanti altri, prima e dopo di lui, sostanzialmente “classica”, almeno allo sguardo contemporaneo. Ciò che più colpisce di un certo periodo (verso il 1857) di Gérôme è quella resa diafana e assolutamente moderna (naturalmente incompresa ai suoi tempi), che posseggono alcune sue tele come ”Le reclute egiziane attraversano il deserto”, 1857 (1857), molto apprezzato (anche criticato, specie da Edmond About) dal pubblico al Salon di quell’anno.

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Con Charles-Zacharie Landelle avremo finalmente esaurito i “cardini” della “corrente” pittorica (tale mi risulta) dei cosiddetti Orientalisti, li chiamo così per convenzione, poiché ufficialmente (sarebbe meglio dire: a quanto pare) non esistono, almeno fino agli anni Settanta del Novecento, quando un certo Edward Said scrisse un libro (in inglese) dal titolo “Orientalism” in cui cercava di inquadrare il fenomeno, ma questo sarà l’argomento di un prossimo intervento, per adesso basti dire che né io né altri lo abbiamo preso troppo in considerazione.

Oggi c’importa solo di Charles Landelle (Laval 2 giugno 1821 – Chennevières-sur-Marne, 13 dicembre 1908). Nella sua lunga vita (87 anni) produsse più di 2000 quadri, tanto da meritarsi, per antonomasia, l’epiteto (un po’ come “Giotto” in Italia) di “artista francese”, un “Landelle” appunto.

Quotazione:

Sebbene si debba sempre prendere come puramente indicativa la valutazione che viene data ad un tale dipinto, riporterò comunque i suoi dati in mio possesso:

Asta “Sotheby’s” tenutasi a Parigi il 23 ottobre 2014.

Autore: Charles-Zacharie Landelle; titolo: Il Risveglio; tecnica: olio su tela; dimensioni: cm. 94 x 145; anno: 1864; prezzo di vendita: 44.700 EUR; provenienza/e: Salon, Parigi, 1864 (n. 1083) (acquistato probabilmente da Mr de Mangoval), Esposizione Universale 1867 (n. 397); venduto il 12 ottobre 1982, Asta “Sotheby’s (L. 62), New York.

Charles-Zacharie Landelle

Jean-Jules-Antoine Lecomte du Nouÿ (1842-1923) by Catherine La Rose

 

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Parte finita il 17 ottobre 2017. continua…

 

Immagini :

François-Léon Benouville –   “Odalisque” (o Esther, Regina di Persia), 1844, olio su tela, Musée des Beaux-Arts de Pau, Francia.

Jean-Léon Gérôme – “Le reclute egiziane attraversano il deserto”, 1857, olio su tela, collezione privata.

Jean-Léon Gérôme – “Un Caffé al Cairo”,  XIX secolo, olio su tela, collezione privata.

Charles Landelle – “Giovane Donna”, XIX secolo, olio su tela, collezione privata.

Jean-Jules-Antoine Lecomte du Nouÿ – “La Schiava Bianca” 1888, olio su tela, Musée des Beaux-arts de Nantes, Francia.

Giuseppe Signorini – “Dal Cadi”, XIX secolo, olio su tela, collezione privata.

Cesare Biseo  – “Baciamano”, 1872, acquerello, collezione privata.

Cesare Biseo  – “Donna Orientale”  XIX secolo, olio su tela, collezione privata.

 

photo edit : Laura Li

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L’Orientalismo : parte seconda

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L’Orientalismo, in senso tecnico, vale a dire come movimento decodificato e consacrato nella storia dell’arte, non esiste, eppure c’è, anzi ogni tanto lo si rivede, ne discutono per esempio all’Atelier Arabesque di Tangeri; tutti lo ammettono, ma nessuno lo certifica. Come mai? Forse paura, forse mancata assunzione di responsabilità da parte di critici e storici negligenti, sta di fatto che questa corrente artistica, i cui effetti sono facilmente riscontrabili, risulta essere sfuggente come un’anguilla, non se ne trova traccia negli oltre suoi due secoli di vita, tutt’al più viene “liquidata” come una branca minore del Romanticismo. Se per “Esotismo” s’intende quella particolare tendenza del pensiero occidentale ad essere attratti da tutto ciò che ci parla di Paesi lontani, ebbene sarebbe più giusto dire che l'”Orientalismo” scaturisce direttamente dall'”Esotismo”, anzi, in un clima di confusione quale siamo (pare), essi possono essere scambiati l’uno per l’altro, sino a considerarli la stessa cosa. In realtà andrebbe fatta quantomeno una distinzione geografica. Ossia, tutto ciò che riguarda il mondo non occidentale, quindi extra europeo, è “esotico”, di contro, tutto ciò che è arabo o mediorientale è “orientalista”.

Detto questo possiamo andare avanti, un po’ “random”, magari, col solito stile cui siamo ormai abituati e a cui siamo affezionati. Sin dall’antichità esisteva il gusto esotico, si pensi ad esempio a personaggi come Caligola, Claudio o Nerone (passato alla storia come il più eccentrico di tutti), o, in tempi più recenti, ad autori come Marco Polo, Shakespeare, Defoe, Stevenson, Salgari, sino ad arrivare ad Hemingway e Welles.

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Stabilite le priorità (sia pur arbitrariamente) siamo in grado di continuare questo folle (?) viaggio, che origina nientedimeno che oltre 200 anni fa. Il “movimento” cui, consapevolmente o meno, Ingres e Delacroix, dettero il via, sarà la nostra bussola, ma si dovrà procedere come un rabdomante, al solito modo, poiché è sempre più imprevedibile questo Orientalismo!

Mai sentito parlare di Jean-Léon Gérôme (Vesoul, 11 maggio 1824 – Parigi, 28 gennaio 1904) o di Frederick Arthur Bridgman (Tuskegee, 10 novembre 1847 – 1928); no? Ebbene sono entrambi pittori orientalisti dell’Ottocento, il primo francese e il secondo stunitense. Volendo quantificare, possiamo dire che un dipinto di Bridgman (“Scene prise au Maroc”, del 1885) è stato “battuto” all’asta (Christie’s, 2008) per 278500 USD!

Non per essere venali, ma quando una tela vale come una casa, allora diventa degna di nota, oltre ogni ragionevole dubbio!

È un vero “Pozzo di San Patrizio” (inesauribile) che dura tutt’oggi con le creazioni dell’Atelier Arabesque di Tangeri, stiamo solo “trattando” due personaggi fra i piú famosi e ci si spalanca dinanzi un mare, allora cosa accadrà quando si accennerà ai tanti artisti considerati minori?  E che dire degli italiani? Di certo non mancano!

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Parte finita il 12 ottobre 2017. continua…

Immagini :

Jean-Léon Gérôme – “L’incantatore di serpenti”, 1870, olio su tela, collezione privata.

Theodoros Rallis – “Donna alla Porta”, c. 1879, olio su tela, collezione privata.

Frederick Arthur Bridgman – “Pomeriggio ad Algeri”, 19mo secolo, olio su tela, collezione privata.

Jean-Léon Gérôme – “Veduta del Cairo”, 19mo secolo, olio su tela, collezione privata.

Jean-Léon Gérôme – “La Terrazza dell’Harem”, 19mo secolo, olio su tela, collezione privata.

Frederick Arthur Bridgman – “Il Venditore di Arance”, 19mo secolo, olio su tela, collezione privata.

 

photo editor : Laura Li

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L’Orientalismo : parte prima

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Se non sbaglio la scorsa volta avevo parlato della “Confraternita dei Preraffaelliti”, ebbene oggi vorrei dedicare l’intervento all’Orientalismo o all’Esotismo, che dir si voglia. Avevamo già trattato (adesso il plurale è giustificato dal fatto che anche Laura Li, dell’Atelier Arabesque, si è interessata al medesimo argomento la scorsa estate) questa vastissima materia, sia pur marginalmente, quando editammo le “Mille e una notte”, con i suoi vari illustratori. Vista la complessità dell’argomento in questione, direi di “imbrigliarlo” subito in uno schema, giusto per fare un po’ d’ordine:

L’Orientalismo

nasce in Francia ed Inghilterra fra il XVIII e XIX sec.; spedizione in Egitto di Napoleone: 1798.

maggiori esponenti:

Eugène Delacroix, Jean Auguste Dominique Ingres, Jean-Léon Gérôme, Frederick Arthur Bridgman, Charles Landelle, Addison Thomas Millar, Charles Sprague Pearce, Thomas Frederic Mason Sheard, Maurice Bompard. Etienne Dinet.

Orientalisti italiani:        

Cesare Biseo, Edmondo de Amicis, Stefano Ussi, Pompeo Mariani, Alberto Pasini, Nazzareno Cipriani, Francesco Coleman, Antonio Gargiullo, Giulio Rosati, Giuseppe Signorini, Gustavo Simoni, Enrico Tarenghi, Ettore Simonetti, Mariano Fortuny, Lorenzo Cecconi, Camillo Innocenti e Duilio Cambellotti.

Prima di entrare nello specifico dei singoli (e tanti) autori orientalisti che popolano un po’ clandestinamente la storia dell’arte, sarà bene chiarire perché stiamo qui a parlare di loro e come si sono guadagnati la nostra particolare attenzione. Tutto cominciò quando si analizzarono alcuni lavori di Laura Li (Atelier Arabesque, Tangeri); dovendo cercare dei riferimenti stilistici ad arti nel passato, ecco saltare fuori l’aspetto esotico che evocavano quelle immagini. Niente di “costruito” insomma, come già nel caso della “Pop-Art” o dei “Preraffaelliti”, si trattava solo di assonanze artistiche presenti eventualmente nelle opere di un’artista, tutto lì!

Per prima cosa sarà bene rimarcare che non esiste un vera e propria definizione del concetto “Orientalismo”, questo, secondo l’opinione di autorevoli studiosi, sarebbe una corrente di pensiero trasversale, mai nata ufficialmente, ma di cui se ne conoscono i connotati. Essa è sorta in Francia e Inghilterra fra Sette e Ottocento, sulla scia della missione napoleonica in Egitto del 1798 e dell’epoca coloniale. Quest’oggi, quindi, vorrei parlare dei due artisti più rappresentativi del “cosiddetto” Orientalismo, ovvero Jean Auguste-Dominique Ingres (Montauban, 29 agosto 1780 – Parigi, 14 gennaio 1867) e Ferdinand Victor Eugène Delacrix (Charenton Saint-Maurice, 28 aprile 1798 – Parigi, 13 agosto 1863). A dire il vero Ingres mi è sempre interessato poco, ma gli compete un posto nei nostri studi per i suoi due quadri più noti, benché piuttosto “tardi” per lui, cioè ” Il bagno turco” e “La grande odalisca”. Mentre Delacroix, almeno di una generazione più giovane del suo collega “neoclassico”, ha viaggiato molto in Medioriente (1832, in missione diplomatica al seguito del conte De Mornay) ed è da considerarsi il vero padre del genere “esotico” in pittura. Comunque, per quanto faziosi, non vorremmo creare favoritismi e cercheremo di trattare entrambi allo stesso modo. Su Ingres non ho molto da dire, se non che era un eclettico, saltava dai ritratti di personaggi perlopiù borghesi cui riusciva a dare delle fisionomie accomodanti, a soggetti mitologici (scarsamente apprezzati), a quadri celebrativi di Napoleone. Delacroix, invece, ci offre diversi spunti su cui riflettere, specie in chiave orientalista. Primi fra tutti il suo dipinti “Sultano del Marocco” e “Donne di Algeri” (1834). Per esperienza personale, avendo i alcuni anni in quel Paese nordafricano, posso dire che a Tangeri ancora si sente l’eco del celebre pittore francese, e che solo molto tempo dopo, un altro grande artista, Henri Matisse, ha saputo superarlo!

Parte finita il 10 ottobre 2017. continua…

Eugène Delacroix; Delacroix – Il Sultano del Marocco, (1845), Musée des Augustins, Tolosa

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In viaggio da Tangeri a Meknes, Eugene Delacroix, dai tacquini del Marocco, 1832

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Immagini :

Jean-Auguste-Dominique Ingres  – “Odalisca con schiava”, 1839-1840, olio su tela, Harvard Art Museums, Cambridge, Massachusetts, Stati Uniti.

Eugène  Delacroix – “Il Sultano del Marocco”, 1845, olio su tela, Musée des Augustins, Tolosa, Francia.

Eugène  Delacroix – “Donne di Algeri nei loro appartamenti”, 1834, olio su tela, Museo del Louvre, Parigi.

Eugéne Delacroix – “In viaggio da Tangeri a Meknes”, dai taccuini del Marocco, 1832, acquarello su carta. 

Eugéne Delacroix – “In viaggio da Tangeri a Meknes”, dai taccuini del Marocco, 1832, acquarello su carta. 

Eugéne Delacroix – “In viaggio da Tangeri a Meknes”, dai taccuini del Marocco, 1832, acquarello su carta. 

Jean-Auguste-Dominique Ingres  – “La Grande Odalisca”, 1814, olio su tela, Museo del Louvre, Parigi.

 

photo edit : Laura Li

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Le Raffinate Visioni dei Preraffaelliti

L'Angelo con il Serpente, Evelyn De Morgan, primi anni del 1870-80

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Ford Maddox Brown - Romeo and Juliet acquerello Whitworth Art Gallery Manchester

Sancta Lilias 1874 by Dante Gabriel Rossetti 1828-1882

Eleanor Fortescue Brickdale, The Pale Complexion of True Love. 1899

The Pained Heart' or 'Sigh No More, Ladies' (1868) Arthur Hughes

John Melhuish Strudwick Saint Cecilia

A Music Party ~ Arthur Hughes ~ c. 1864

Una e il leone, William Bell Scott, 1860 ca., olio su tela, 91,5 x 71,2 cm, Edimburgo, National Galleries of Scotland

Girls Gathering Flowers (Teasels)' by Cecil Leonard Burns

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Dante Gabriel Rossetti: Monna Vanna, 1866.

Thomas Edwin Mostyn - The Child

The Awakening of the Spirit of the Rose by William Stott.

Immagini :

Evelyn De Morgan -” L’Angelo con il Serpente”, c. 1870-80, olio su tela, collezione privata.

Edward Burne-Jones – “L’Amore fra le Rovine”, 1894, olio su tela, collezione privata.

Edward Burne-Jones – “Lo specchio di Venere”, 1875, olio su tela,  Museo Calouste-Glubenkian, Lisbona.

Ford Maddox Brown – “Romeo e Giulietta”, acquerello su carta, Whitworth Art Gallery, Manchester, Regno Unito.

Dante Gabriel Rossetti, “Sancta Lilias”, (versione non completata di “La Damigella Benedetta) 1874, olio su tela, Tate Modern, Londra.

Eleanor Fortescue Brickdale – “La Pallida carnagione del Vero Amore”, 1899, collezione privata.

Arthur Hughes – “Il Cuore Addolorato”, 1868, olio su tela, collezione privata. 

John Melhuish Strudwick – “Santa Cecilia”, 1896, olio su tela, Sudley House, Liverpool, Regno Unito.

Arthur Hughes – “Una Festa Musicale”,  c. 1864, olio su tela, Lady Lever Art Gallery, Liverpool, Regno Unito.

William Bell Scott – “Una e il leone”, c. 1860, olio su tela, National Galleries of Scotland, Edimburgo.

Cecil Leonard Burns – “Ragazze che Raccolgono Fiori” (Cardi), olio su tela, Southwark Art Collection – Londra.

Marie Spartali Stillman –  “Madonna Pietra degli Scrovegni”,  1894, acquerello, tempera e gomma arabica, Walker Art Gallery, Liverpool, Regno Unito.

John Melhuish Strudwick –  “Quando le Mele sono Dorate e le Canzoni Dolci  ma l’Estate è già Finita”, c. 1906, olio su tela, Manchester Art Gallery, Regno Unito.

Eleanor Fortescue-Brickdale – L’Addio fra Romeo e Giulietta, c. 1890- 1900, olio su tela, collezione privata.

Anthony Frederick Augustus Sandys – Vivien, 1863, olio su tela, Manchester Art Gallery, Regno Unito.

Dante Gabriel Rossetti, “Monna Vanna”, 1866, olio su tela, Tate Modern, Londra.

Thomas Edwin Mostyn – “Il Bambino”, data sconosciuta (XIX secolo), olio su tela, collezione privata.

William Stott – “Il Risveglio dello Spirito della Rosa”, data sconosciuta (XIX secolo), olio su tela, Manchester Art Gallery, Regno Unito.

 

Photo editor : Laura Li

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I Preraffaelliti : quarta parte

Dame veneziane ascoltano una serenata sul Canal Grande, Frank Cadogan Cowper, 1908:09, olio su tela, 88,9 x 128,9 cm, collezione privata

Per maggiore chiarezza riguardo alla Confraternita dei Preraffaelliti occorre, essendo una materia piuttosto complessa, fare uno schema riassuntivo:

Data fondazione: 1848; luogo: Casa di famiglia Millais in Gower St. a Londra; James Collinson (pittore); William Holman Hunt (pittore); John Everett Millais (pittore); Dante Gabriel Rossetti (pittore, poeta); William Michael Rossetti (critico); Frederic George Stephens (critico); Thomas Woolner (scultore, poeta).

Artisti associati

Joanna Mary Boyce (pittrice); John Brett (pittore); Ford Madox Brown (pittore, designer); Lucy Madox Brown (pittrice, scrittrice, modella); Richard Burchett (pittore, educatore); Edward Burne-Jones (pittore, designer); Charles Allston Collins (pittore); Frank Cadogan Cowper (pittore); Walter Howell Deverell (pittore); Arthur Hughes (pittore, illustratore di libri); Robert Braithwaite Martineau (pittore)

May Morris (designer); William Morris (pittore, designer, scrittore); Christina Rossetti (poetessa); John Ruskin (critico); Anthony Frederick Augustus Sandys (pittore); Thomas Seddon (pittore); Elizabeth Siddal (pittrice, poetessa e modella d’artista); Simeon Solomon (pittore); Marie Spartali Stillman (pittrice); Algernon Swinburne (poeta); Henry Wallis (pittore); William Lindsay Windus (pittore); James Talmage White (pittore)

Artisti associati in senso lato

Sophie Gengembre Anderson (pittrice); Lawrence Alma-Tadema (pittore);Wyke Bayliss (pittore); George Price Boyce (pittore); Frederick William Burton (pittore); Julia Margaret Cameron (fotografa); James Campbell (pittore); John Collier (pittore); William Davis (pittore); Evelyn De Morgan (pittrice); Frank Bernard Dicksee (pittore); John William Godward (pittore); Thomas Cooper Gotch (pittore); Edward Robert Hughes (pittore); John Lee (pittore); Edmund Blair Leighton (pittore); Frederic Leighton (pittore); Gaetano Meo (pittore e modello d’artista); Charles William Mitchell (pittore); Joseph Noel Paton (pittore); John William Waterhouse (pittore); Daniel Alexander Williamson (pittore); George Ekow Amissah Botchway (pittore); Louis Welden Hawkins.

Modelle d’artista

Fanny Cornforth; Fanny Eaton; Annie Miller; Jane Burden (Morris); Frances Polidori (Rossetti); Elizabeth Siddal (Rossetti); Marie Spartali Stillman; Maria Zambaco.

La lista è davvero lunga e non è finita. Un altro che va quantomeno citato, che a quanto pare, sarebbe un membro della prima ora, non è un artista, sebbene abbiamo un paio di quadri suoi, bensì un critico, come John Ruskin, e con lui chiudo questo intervento, si tratta di Frederic George Stephens (Londra, 1828 – Londra, 9 marzo 1907).

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Potrò tranquillamente riprendere l’intervento sui Preraffaelliti prossimamente, ma prima vorrei fare un discorso sui cosiddetti “Chintz”. Si tratta, secondo il vocabolario, di un pesante tessuto di cotone o raso con trama a tela, generalmente dal fondo chiaro e dai colori sgargianti. Originario dell’India, esso prende il nome dalla parola Hindi “Chint”e si diffuse in Europa nel XVIII sec., sino a essere in gran voga nel secolo seguente. Era particolarmente indicato, data la sua resistenza, per la tappezzeria soprattutto di sedie e divani. Grande sostenitore e fautore egli stesso di numerosi motivi per i vari “modelli” di Chintz presenti nella sua fabbrica, fu certamente il più volte citato artista inglese William Morris (1834 – 1896), che contribuì non poco allo sviluppo del settore (v. anche Arts and Crafts). Memorabile soprattutto la sua fondazione (1861) con altri amici artisti, della Morris & Co., un’autentica “factory” ante litteram, dove si producevano, con processi rigorosamente artigianali, vari oggetti artistici nei più diversi materiali. Inoltre Morris apparteneva alla Confraternita dei Preraffaelliti sin dall’inizio, ad Oxford, con Rossetti, Burne-Jones, Webb e altri, quanto basta per guadagnarsi un posto nella storia dell’arte, eppure il mio interesse è per qualcos’altro, che vado subito ad esporre. Se oggi dico “font” (Arial Times, ecc.) o ”pattern” (quelli prediletti all’Atelier Arabesque sono mediorientali, ma non solo…), tutti, bene o male, sanno a cosa mi riferisco, però nel XIX sec. niente affatto: ecco allora che sbuca Morris. Dobbiamo ammettere che lui e il (suo) movimento “Arts & Crafts” è quanto di più attuale si può trarre dal passato e che noi (in questo caso parlo dell’atelier Arabesque) dobbiamo veramente molto a Morris, il Designer antesignano, per antonomasia!

Parte finita il 7 ottobre 2017. 

William Morris, 'The Strawberry Thief (Flower and Bird Pattern)', 1884

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Immagini :

Frank Cadogan Cowper – “Dame veneziane ascoltano una serenata sul Canal Grande”, c. 1908/09, olio su tela, collezione privata.

Laura Li (Atelier Arabesque) – dalla serie “Time Machine”, collage digitale, Tangeri 2014.

William Morris –   Carta da parati con motivo  floreale, c. 1876.

William Morris –  “Il Ladro di Fragole”, 1884, chintz con motivo floreale e uccelli.

William Morris –   Chintz con motivo floreale, c. 1883.

William Morris –   Chintz con motivo floreale, c. 1876.

 

photo editor : Laura Li

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I Preraffaelliti : terza parte

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Per continuare il veloce excursus che concerne la Confraternita dei Preraffaelliti parleremo, in primis, dell’altro nobile (anche se di “campagna”) del gruppo, ovvero di Sir Edward Coley Burne-Jones (Birmingham, 28 agosto 1833 – Londra, 17 giugno 1898) (avevamo già visto Sir John Everett Millais). Sebbene il buon Sir Edward fosse più pittore (influenzato, almeno in giovinezza, da Rossetti e dall’arte rinascimentale di Michelangelo, del Ghirlandaio e di Botticelli) che altro (vetrate delle chiese di Wilden ed Oxford), ciò non gli impedì di associarsi con William Morris (la Firm, 1861), che durò fino alla morte di quest’ultimo, nel 1896, non prima di aver terminato la commissione della Stanmore Hall affidata alla Morris & co.

Burne-Jones

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The Sleaping Beauty, 1870 - 1890 - Edward Burne-Jones

The Wedding of Psyche, 1895 - Edward Burne-Jones

Un altro dei primi fautori della “Confraternita dei Preraffaelliti” fu certamente William Holman Hunt, nome d’arte di William Holman Hunt (Londra, 2 aprile 1827 – 7 settembre 1910). Viene ricordato soprattutto per il ritratto di D.G. Rossetti da giovane, però ci si dimentica spesso la qualità sopraffina della sua pittura.

'Valentine Rescuing Sylvia from Proteus', 1851.William Holman Hunt

Ora che abbiamo visto gli artefici principali della Confraternita potremo finalmente concentrarci sui cosiddetti “attori coprotagonisti” che sono, nel nostro particolare caso, di eguale importanza. Se fossimo coloro che decretano cosa si può “salvare” nel III° Millennio, allora, l’equidistanza dagli uni e dagli altri, ci permetterebbe di ragionare lucidamente sulla questione, ma per fortuna non lo siamo!?

Avevamo (il plurale, come ho già detto, non è majestatis, bensì familiare o tutt’al più di compagni di blog) lasciato la “confraternita” promettendo che anche artisti considerati “minori”, o “simpatizzanti”, o comunque si voglia chiamarli, sarebbero stati tenuti in debita considerazione, quale esempio migliore di quello offerto da Edward Robert Hughes (Londra, 5 novembre 1851 – St. Albans, 23 aprile 1914).  Il suo dipinto “The Valkyrie’s Vigil”, infatti, “rischia” di essere preso a modello per quanto riguarda i Preraffaelliti, benché sia palesemente dedicato a Richard Wagner e piuttosto tardo (probabilmente primi ‘900).

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Sul perché la lezione dei Preraffaelliti sia così presente nella nostra produzione (Atelier Arabesque) che, per quanto sia, viene spesso emulata e citata, ci stiamo ancora interrogando. Per il momento basti sapere che lo reputiamo un fatto assodato, in seguito se ne capiranno le varie sfumature. Per quanto mi sforzi, ad esempio, non riesco a ricordare un altro caso, sempre in ambito artistico, in cui venga usata la parola “confraternita”. Analizziamola, di certo quella dei Preraffaelliti non ha indole religiosa, anche se la parola in sé ci fa pensare ad un circolo ristretto di persone dedite a pratiche mistiche, una sorta di setta insomma, e forse in parte l’intento era pure quello. Ma in senso stretto, secondo quel che si apprende dall’enciclopedia, scartati l’Islam e la Chiesa Cattolica, non resterebbe che la “confraternita medievale”, nata in Inghilterra addirittura nel IX sec., che assume il nome di Gilda, una specie di “corporazione” di arti e mestieri. Esiste però un’altra forma di “confraternita”, quella “studentesca”, sembra marginale, ma non lo è: Jones, Morris e Rossetti si conobbero proprio in quel periodo, dove fondarono la rivista ” Oxford and Cambridge Magazine (1856).

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The Awakening of Adonis - John William Waterhouse (1899) private collection

The Enchanted Garden, 1916 - 1917 - John William Waterhouse

Parte finita il 7 ottobre 2017. continua…

Immagini :

Laura Li (Atelier Arabesque) – dalla serie “Onirica”- collage digitale – Tangeri, anno 2017

Edward Burne-Jones –  “La Testa Funesta”, 1886-87, olio su tela, Staatsgalerie, Stoccarda, Germania.

Edward Burne-Jones – “La Ruota della Fortuna”, 1875-83, olio su tela, Musée d’Orsay, Parigi /  “La Scala d’Oro”, 1876-80, olio su tela, Tate Gallery, Londra / “L’Annunciazione” 1879, olio su tela,  Lady Lever Art Gallery, Liverpool, Regno Unito.

Edward Burne-Jones – “The Rose Bower” da una serie di dipinti “La Leggenda di Briar Rose” , 1872, olio su tela, Buscot Park, Oxfordshire, Regno Unito.

Edward Burne-Jones – “Il Matrimonio di Psiche”, 1895, olio su tela, Royal Museum of Fine Arts Antwerp, Belgio.

William Holman Hunt –  “Valentine Rescuing Sylvia from Proteus”, 1851, olio su tela, Birmingham Museum and Art Gallery, Birmingham, Regno Unito.

Edward Robert Hughes – “Valkyrie’s Vigil”, c. 1915, acquerello su carta, collezione privata.

John William Waterhouse – “Ila e le Ninfe”, 1896, olio su tela, Manchester Art Gallery, Regno Unito.

John William Waterhouse – “Il Risveglio di Adone”, 1899, olio su tela,  collezione private.

John William Waterhouse – “Il Giardino incantato”, Lady Lever Art Gallery, Liverpool, Regno Unito.

 

photo editor : Laura Li