Bisognerebbe chiederlo a loro, i “ragazzacci” del Kent, una delle rock band più pagate al mondo, i “Rolling Stones“, che frequentano Tangeri e il Marocco fin dagli anni ’60, bisognerebbe chiedere ai loro facoltosi membri se passavano più tempo al “Café Hafa” o al “Café Baba“, facciamo presto però, finché questi signori ultra-settantenni sono ancora in vita. Io so solo che ho visto una chitarra di Keith Richards appesa a una parete del “Café Baba”, assieme a molte foto (tra cui una del proprietario con Jim Jarmush) e altri cimeli, come ci sia finita non posso dirlo, ma certamente quello degli “Stones” resta un piccolo enigma che alimenta il fascino di questa misteriosa città.
Le leggende, alcune antiche, altre più recenti, s’intrecciano e si accavallano, ma cercheremo di ricostruire i fatti salienti di questa variegata storia partendo dagli anni ’50.
Un fatto importante accaduto in quella decade è di sicuro la fondazione del celeberrimo ristorante “1001 Nights” situato in un ala del Menebhi Palace, nel quartiere Marshan. Dal 1954 al 1956 il ristorante fu il centro della vita sociale degli espatriati durante i tempi d’oro della Zona Internazionale. Ciò avvenne ad opera dell’artista e mistico inglese Brion Gysin (1916 – 1986) insieme a Mohamed Hamri (1932 – 2000) cuoco e all’epoca amante di Gysin. Hamri successivamente divenne un apprezzato pittore naif e scrittore di “Tales of Joujouka” (I Racconti di Joujouka, 1975, inedito in Italia), leggende e miti Sufi del suo villaggio in Marocco.
Lo zio di Hamri era il leader dei Maestri Musicisti di Jajouka, una confraternita Sufi situati nella regione montuosa del Rif, e fu proprio Mohamed Hamri, diversi anni dopo, nel 1967, ad invitare Brian Jones, uno dei fondatori insieme a Jagger e Richards dei “Rolling Stones”, a collaborare con la “confraternita” e a visitare il suo Villaggio natale per registrare un album musicale con lui e gli altri. Non sembra tutto chiaro adesso?
“Voulez-vous, a rendez-vous, tomorrow…”, “Ramaja, cu-cu-cu, ramaja…” o “Beri, beri, beri fa lo scacciapensieri…” riecheggiano ancora per le strade di Tangeri, ma noi abbiamo deciso di spingerci ancora più addietro, agli anni ’50, in questa ricostruzione arbitraria e sommaria (mi si permetta il gioco di parole). Indubbiamente lo scrittore americano Paul Bowles, che già abbiamo visto fuggevolmente a proposito del suo libro “The Sheltering sky” (“Il Tè nel deserto”, 1949; versione cinematografica del regista italiano Bernardo Bertolucci, 1990) è stato il “catalizzatore” che ha fatto confluire a Tangeri personaggi come Brion Gysin, William Burroughs, Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Emilio de Soto, Francis Bacon, Tennessee Williams, Jean Genet, Truman Capote, Gregory Corso.
Trasferitosi già dal 1947 a Tangeri (il suo primo viaggio risale al 1931), con la moglie Jane Auer, incontreremo spesso Paul Bowles nell’intricata “matassa” storica cui ci stiamo dedicando. Fu grazie a lui e Jane che Brion Gysin, conosciuto a Parigi nel 1938 durante la loro luna di miele, mise per la prima volta piede a Tangeri nel luglio 1950, restando per parecchi mesi come ospite dei Bowles nella loro piccola casa vicino Place Amrah nella Medina alta.
Immagini :
Laura Li (Atelier Arabesque) – dalla serie “Pop Maroc”, collage digitale, 2017.
Brion Gysin in Marocco, c. 1957.
Brion Gysin – “Boujeloud”, l’uomo-capra, simbolo di fertilità, celebrato nella festività annuale al villaggio di Joujouka, in Marocco, acquerello su carta, 1958.
Keith Richard dei Rolling Stones per le strade di Tangeri, 1967.
Emilio Sanz de Soto, Pepe Carleton, Truman Capote, Jane e Paul Bowles, Tangeri, 1947.
Jane Bowles con la sua governante/amante Cherifa nella medina di Tangeri, 1967.
Brion Gysin – “Written Desert”, inchiostro su carta, 1958.
Brion Gysin – “Night in Marrakech”, inchiostro su carta, 1968.
Brion Gysin – “After Midnight in Marrekesh”, inchiostro su carta, 1968.
photo editor : Laura Li